Enrico Dondi, soccorritore dell’Assistenza Volontaria di Collecchio, Sala Baganza e Felino, ci ha raccontato (dopo qualche insistenza) la sua missione nella cittadina in provincia di Rieti distrutta dal terremoto del 24 agosto

Una terra in ginocchio, ma con tanta dignità e voglia di ricominciare. Enrico Dondi, soccorritore dell’Assistenza Volontaria di Collecchio, Sala Baganza e Felino, è tornato da Amatrice con un sapore agrodolce e un’esperienza umana che gli resterà scolpita nell’anima. Così come gli sono rimaste dentro le altre missioni di aiuto alle popolazioni terremotate alle quali ha partecipato, in Irpinia e, più recentemente, a Mirandola. Un’esperienza che Enrico ha deciso di raccontare soltanto dopo due mesi, quasi a volerla custodire gelosamente.

In ottobre, Dondi è partito per Amatrice insieme ad altri volontari Anpas (Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze), provenienti dall’Assistenza Pubblica di Parma. «Siamo giunti ad Amatrice con due mezzi, io con l’auto di servizio dell’Assistenza, la “Collecchio 5”, e non è stato facile – ricorda –. Le strade erano interrotte e c’erano dei vigili lungo il percorso che di volta in volta ci indicavano quali deviazioni prendere».

Qual è stato il suo primo impatto con Amatrice?

«Sono stato colpito dal fatto che le persone, nonostante tutto, fossero sorridenti e allegre. Mostravano una grande dignità e un grande rispetto. Gli amatriciani sono stati socievoli, cordiali, e non facevano altro che ringraziarci per il fatto di essere lì ad aiutarli».

E il rapporto con gli altri volontari?

«Stupendo. È stato commovente trovarsi in mezzo a persone provenienti da tutta Italia: piemontesi, liguri, veneti, toscani, emiliani come me e campani. Tutti insieme per portare aiuto. Preziosissimo anche il lavoro dei vigili urbani, che venivano soprattutto da Milano e Rovigo (a fine novembre, ad Amatrice sono arrivati anche degli agenti della Polizia Pedemontana Parmense, ndr)».

Qual è stato il suo compito?

«Ero partito per fare l’elettricista, ma sono andato lì con lo spirito di fare qualsiasi cosa potesse essere utile. Poi, siccome di elettricisti ce n’erano fortunatamente già abbastanza, mi hanno messo in cucina. Ho fatto anche il cameriere – sorride –, in questo modo sono venuto a contatto con tante persone, speranzose che il governo riesca a ricostruire tutto».

Dove era sistemato?

«In tenda. E la notte, già in ottobre, faceva molto freddo. C’erano quattro gradi e nonostante avessimo due termosifoni faceva freddo comunque. Poi, dopo qualche giorno, ha iniziato anche a piovere».

Era lì anche quando è venuto Papa Bergoglio…

«Sì, e devo dire che la sua è stata una visita “molto intelligente”, in punta di piedi, senza intralciare minimamente il lavoro dei volontari. Se non me l’avessero detto, non mi sarei nemmeno accorto del suo arrivo. Non l’ho nemmeno visto».

Delle operazioni di soccorso, cosa ci può raccontare?

«Mi ha colpito molto la serietà e professionalità dei i Vigili del Fuoco. Facevano turni massacranti per controllare l’agibilità degli edifici, accompagnare le persone nelle proprie case per raccogliere gli oggetti personali. Erano stanchi morti».

Un ricordo particolare?

«L’immagine di tre bambole in mezzo alle macerie. Ho pensato che, forse, quelle tre bambine non ci sono più. C’erano case con pareti crollate e i letti dentro. Questo mi ha dato la misura di quanto sia stato terribile».

Chissà quante storie ha sentito…

«Tantissime. L’autista dello scuolabus aveva la casa distrutta, poi c’erano anche quelli che avevano ancora la casa agibile – dopo le recenti scosse sinceramente mi auguro che sia ancora così – ma non potevano comunque farsi da mangiare, perché mancavano il gas, l’acqua e la luce. Una donna rimasta sotto il terremoto è finita su una carrozzina, ma per fortuna prima di partire ho visto che aveva le stampelle… stava migliorando. Mancavano completamente anche i luoghi di aggregazione. L’unico momento dove stare insieme era a tavola e la domenica mattina, quando c’era Messa. Per il resto non c’era un bar, né un punto di ritrovo. Niente di niente. Le famiglie si fermavano dopo cena per fare almeno due chiacchiere, anche perché tutto sommato nella mensa si stava bene, c’era un po’ di caldo. Anpas ha fatto veramente tanto, allestendo anche una tenda per intrattenere i bambini, una ventina in tutto. I soccorsi e i volontari erano molto organizzati. Pensi che c’erano dei trentini che avevano allestito una lavanderia. Lavavano tute, felpe e maglioni. E lo facevano benissimo! Purtroppo, così come ho visto in Irpinia e a Mirandola, in queste situazioni ti rendi conto quanto anche le piccole cose non siano scontate, come avere un piatto di spaghetti caldi».